Il Continente nero richiama a casa i discendenti dei milioni di schiavi che secoli fa furono catturati e trascinati in mezzo mondo insieme alla loro cultura, alle loro tradizioni, ai loro ritmi e alla loro musica. Da Stevie Wonder a Michael Jackson, da Aretha Franklin a Ray Charles o a B.B. King, i più grandi artisti neri sono stati invitati a ripercorrere all'indietro la rotta delle navi che hanno trasportato in catene i loro progenitori in America. Insieme ai musicisti delle nuove generazioni africane saranno i protagonisti di uno straordinario festival che era in programma nel dicembre scorso in Costa d'Avorio, fra Abidjan e altre città, e il cui progetto è momentaneamente congelato per cambiamenti nel governo ivoriano. Ma già alla fine del 1999 c'è stato un grande pre-festival a base di reggae, ritmi caraibici, sudamericani, gospel e musica sacra, con tutta la famiglia Marley, Miriam Makeba, Jahman Levi e tanti altri artisti Il logo del Festival mondiale dell'Afromusica. A destra Nina Simone a Abidjan durante la presentazione ufficiale. Nina, con Manu Dibango, Hugh Masakela e Miriam Makeba fa parte del Comitato d'onore. In basso, all'inizio del testo, il simbolo dell'iniziativa: un drammatico triangolo rosso che segna la rotta degli schiavi tra Africa, Europa e America.
B.B. King, De Dee Bridgewater. Stevie Wonder, Erykah Badu, James Brown: chissà quando, saranno tutti all'Afromusic Festival di FABRIZIO ZAMPA Sarà il festival più grande del mondo, il definitivo punto d’incontro di tutta la musica nata in Africa e emigrata suo malgrado in mezzo globo in secoli di schiavitù: dal blues al rock, dagli spiritual al reggae, dal rhythm & blues al jazz, soul, gospel, rap, ritmi sudamericani e caraibici, world music, samba, calypso, rai, salsa, funk e così via.
Ma per spiegare di che si tratta è meglio darvi subito un elenco di nomi: Whitney Houston, Stevie Wonder, B.B. King, Michael Bolton, Youssou n’Dour, Salif Keita, Erykah Badu, James Brown, Toni Braxton, Al Jarreau, Nina Simone, Ray Charles, Isley Brothers, Dee Dee Bridgewater, Randy Crawford, Chaka Chan, Patti Labelle, Al Green, Lionel Richie, Earth Wind & Fire, Ub40, Miriam Makeba, Bobby Womack, Kool and The Gang, Ziggy Marley, Manu Dibango, Alpha Blondie, Barbara Hendricks, Lucky Dube, Groover Washington Jr, George Duke...
Sono questi, e molti altri, gli artisti che hanno già aderito all’African World Music Festival, che si sarebbe dovuto tenere nel dicembre 1999 in Costa d’Avorio e il cui progetto, a causa di grossi cambiamenti nel governo della Costa d'Avorio, è stato surgelato e rinviato a data da destinarsi, forse il dicembre 2001. Se e quando andrà davvero in porto, riunirà i maggiori rappresentanti dei mille generi musicali nati in Africa ed «esportati» insieme a milioni e milioni di schiavi. L’idea, dell'ex presidente ivoriano Konian Bedie, è semplice: riportare nel continente Nero tutte queste espressioni musicali in un gigantesco raduno che ripercorra alla rovescia il doloroso itinerario originale per tornare alla sua terra, insomma a casa.
Miriam Makeba, Michael Jackson, Patti Labelle, Lucky Dube, Whitney Houston: hanno già aderito al festival
Programmato in origine per il 1999, il festival è già stato rinviato di un anno per attrezzare meglio i luoghi destinati ad accogliere un pubblico di oltre due milioni di persone (sono tuttora in costruzione un villaggio da 200 mila letti ad Abidjan e una serie di nuovi alberghi e ristoranti in diverse località, si stanno rimodernando vecchi alberghi e così via) e al tempo stesso per aprire le porte al mondo e far sì che l’evento non profumi solo di Francia (antica padrona di casa da quando la Costa d’Avorio era una colonia) ma abbia un grande sapore internazionale.
Due anni fa il direttore della manifestazione Théodore Eg Mel (fino alla primavera 2000 era anche il sindaco di Cocody, il più importante distretto di Abidjan) ha girato fra Europa e America per stringere accordi che rendano il festival un evento davvero mondiale, al di là dei confini e delle influenze politiche ed economiche, e l’Italia è uno dei paesi ai quali la Costa d’Avorio si sente più vicina. Si punta alla presenza di nostri musicisti (i più amati sono Pino Daniele, che non ha mai nascosto le mille venature africane delle quali risplende la sua musica, e Luciano Pavarotti), a un convolgimento del nostro mondo culturale e anche, per esempio, a un accordo fra Alitalia e Air Afrique per facilitare i viaggi fra il nostro paese e la Costa d’Avorio.
Intanto si è svolto nel dicembre 1999 un pre-festival dedicato al reggae (con l’intervento dell’intera famiglia Marley e di decine di gruppi jamaicani), al gospel, ai ritmi caraibici, a un suggestivo incontro fra musiche sacre africane, europee e americane, a grandi spettacoli a base di danze e arti varie. Insomma l’appello è cominciato, e adesso si tratta solo di vedere chi sarà così intelligente da aderire a un’iniziativa che verrà realizzata chissà quando ma farà davvero storia.
Come e perché è nata la rassegna che si dovrebbe tenere nel 2001 Un lungo viaggio verso le Radici
Diciamo la verità: dove sono nati il blues, il jazz, il gospel, il soul, il rhythm & blues, il reggae, la world music, gli spiritual, il samba, il ragamuffin, il calypso, il rai, la salsa, il funk, il rap, il soukouss, i canti polifonici e i mille altri generi e ritmi che hanno invaso il mondo moderno se non nel vecchio, immenso, vivo, affascinante e ancora misterioso continente chiamato Africa? E’ stato lì che per cinque secoli l’Europa e l’America, rubando decine di milioni di schiavi nei paesi che si affacciano sul Golfo di Guinea e sulle rive dell’Oceano Indiano, hanno fatto razzia di musiche, di culture, di ritmi e di impasti vocali, cioè delle basi di tutto ciò che oggi, classica e lirica a parte, si ascolta e si apprezza dappertutto.
Il blues, che è insieme uno stato d’animo e una musica che gli dà la voce, è nato nei campi del sud degli Stati Uniti (dove gli schiavi raccoglievano tonnellate di cotone a suon di frustate e dove una legge, il Codice Nero del Mississippi, vietava loro l’uso di tamburi e strumenti che potessero essere utilizzati, come avveniva e ancora avviene in Africa, per comunicare), però discende inequivocabilmente dai canti di dolore che si levavano nelle foreste africane, magari per una morte o per una carestia. E nel dialetto nero di molti stati del sud degli Usa, dalla Georgia alla Louisiana, ancora sopravvivono frasi di lingue come l’ashanti. Nell’800 a New Orleans, in Congo square, si cantava proprio un mix di francese e ashanti.
Il gospel è l’evoluzione delle antiche invocazioni alle divinità che vegliavano sulle tribù, e lo spiritual è una sua traduzione in chiave cattolica, dovuta al fatto che nel secolo scorso agli schiavi veniva naturale cercare conforto nella religione e convertirsi al cattolicesimo schierandosi con i monaci battisti e metodisti, i soli che regalavano buonismo ai negroes messi tranquillamente in vendita nei mercati a un prezzo che oscillava dagli 800 ai 1200 dollari a testa.
Paese che vai, clima e cambiamenti che trovi. Il samba e le sue varianti brasiliane, cresciute nell’aria tropicale di un Sudamerica in cui la musica ha sempre simboleggiato la gioia di vivere, vengono dalle danze che i neri celebravano nel cuore dell’Africa, e lo stesso vale per i ritmi di mille isole dei Caraibi, dal reggae jamaicano al suono delle steel band di Trinidad, dove i tam tam furono rimpiazzati dai bidoni di ferro usati per contenere il petrolio, anch’essi trasportati a spalle dagli schiavi. Non è difficile trovare tracce di Africa neanche in stili apparentemente lontanissimi, dal tango a certe polifonie vocali prettamente europee che a un orecchio attento riecheggiano vibranti suoni tribali.
Adesso, dopo secoli di umiliazioni, è arrivato il momento di fare marcia indietro e di riportare proprio in Africa tutte queste espressioni musicali, in un gigantesco raduno che ripercorra all'incontrario il doloroso itinerario originale: un festival che sarà una via di mezzo fra pellegrinaggio, spettacolo, omaggio, momento della verità, penitenza, viaggio nei ricordi e soprattutto sacrosanto cammino verso le radici, o meglio le Radici.
Un'immagine di Abidjan, che sarà il centro del festival. Oggi è un mix di grattacieli, lagune e vecchie case. La città sorge sulla costa dalla quale partivano le navi piene di schiavi Ecco il nocciolo dell’African World Music Festival, la manifestazione che si terrà in Costa d’Avorio, forse nel primo anno di questo tormentato millennio, e che riunirà i maggiori rappresentanti della musica nata in Africa. Nel lancio ufficiale del raduno, fatto nell'autunno 1997 a Abidjan, sono stati invitati tutti, da Ray Charles a Stevie Wonder, Salif Keita, Johnny Clegg, B.B. King, Michael Jackson, Nina Simone, Miriam Makeba, Youssou'n'Dour, Cheb Kaled e mille altri artisti pop e rock internazionali e africani, nonchè gruppi gospel e spiritual: tutta gente, come dicono gli ideatori della manifestazione, «che appartiene alla stessa grande famiglia ma nonostante ciò continua spesso ad ignorarsi». Il festival sarà dunque il punto d’incontro tra figli, nipoti e bisnipoti di un’immensa cultura musicale sradicata dal proprio mondo e esportata suo malgrado altrove.
E’ una bella idea, e a lanciarla non è stato un Pippo Baudo locale ma l'ex presidente della Costa d’Avorio Henri Konan Bédié, in una tre giorni che nell'ottobre '97 ha riunito a Abidjan, per presentazioni, concerti e seminari, frotte di delegati di 91 paesi, operatori culturali, esperti di musica etnica e giornalisti. «Questa avventura - sostiene Bédié - non sarà un semplice appuntamento musicale e culturale, ma un grande messaggio della nuova Africa, che produce talenti formidabili, lavora duro e partecipa più di quanto non sembri alla cultura universale. Dalla tradizione e dal dolore dei nostri popoli ridotti in schiavitù sono nati gli artisti più conosciuti, osannati e amati, e grazie a loro la musica rinasce ogni giorno, s’inventa e si sviluppa all’infinito per incantare il mondo. In un momento in cui i media parlano solo dei conflitti e dei problemi economici del nostro continente dobbiamo svegliarci e reagire per promuovere un’altra immagine dell’Africa. Quale mezzo è migliore della musica?».
L’African World Music Festival, che costerà 25 miliardi e durerà dodici giorni, prevede molti appuntamenti. Il primo è una crociera che rappresenterà «un rendez-vous con la Storia»: una nave carica di musicisti partirà dagli Usa seguendo alla rovescia la rotta dei convogli degli schiavi e raggiungerà nel golfo di Guinea i luoghi dai quali la tradizione musicale nera è emigrata in catene. Sbarcherà in Ghana, ai vecchi «forti degli schiavi» di Cape Coast e Elmina, dove si terranno due concerti che mescoleranno blues e liturgie africane, poi approderà a Abidjan, dove prenderà via il vero festival che offrirà 50 concerti nei dieci comuni della città, nella vicina Grand Bassam (capitale della Côte d’Ivoire all’epoca coloniale, ospiterà jazz e blues) e nell’attuale capitale Yamoussoukro.
La basilica di Notre Dame a Yamoussoukro, capitale della Costa d'Avorio: una chiesa identica a San Pietro e delle stesse dimensioni, che spunta come un miraggio dalla foresta ivoriana. Lì si svolgeranno concerti di gospel, spiritual e musiche sacre africane
Tra gli eventi più curiosi, oltre al concerto gigante d'inaugurazione a Abidjan, con centinaia di artisti, e al gala di chiusura (un'immensa festa popolare alla quale si prevede un'affluenza di due milioni di persone), ci sarà proprio a Yamoussoukro una serata di musica sacra e cori, cioè un insolito incontro fra gospel, spiritual e musiche sacre africane, un viaggio fra le mille strade dell’anima.
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Avverrà nella basilica di Notre Dame de la Paix, enorme e incredibile chiesa identica a San Pietro e delle stesse dimensioni (un accordo con il Vaticano prevedeva che la cupola fosse alta un paio di metri rispetto a quella romana, ma poi gli ivoriani hanno agiunto una struttura che sorregge una grandesfera dorata e hanno superato il vero S.Pietro), con tanto di colonnato, piazza per 300 mila fedeli (i cattolici in Costa d’Avorio sono 3 milioni, contro 6 milioni di islamici e oltre 4 milioni di animisti), sontuosi interni in marmi pregiati, aria condizionata e due ascensori ultramoderni che raggiungono la cupola. Costruita dal defunto presidente Felix Houphouët Boigny (era il suo «grande sogno») e inaugurata nel 1985, è costata 300 milioni di dollari, più di 500 miliardi di lire. Ancora oggi l'immensa chiesa brucia denaro: mantenerla pulita e in efficienza costa oltre un miliardo l'anno.
Che musica si fa oggi in Africa? Di ogni genere. Ai concerto-aperitivo dell'ottobre 1997 dati nello stadio dell’Università di Abidjan per offrire un piccolo campione di quello che sarà il vero festival, si viaggiava a base di rap (protesta e denuncia non sono un’esclusiva dei sobborghi neri americani), reggae (più robusto e graffiante di quello jamaicano) e straordinari mix nei quali i ritmi originali africani s’impastano con tastiere, chitarre elettriche e sapori centro e sudamericani.
I re del reggae (ballato instancabilmente da tutti i 40 mila presenti compreso Théodore Eg Mel, ex sindaco di Cocody e direttore del festival) sono l’ivoriano Alpha Blondie e il sudafricano Lucky Dube, il rap è la specialità di Meiwai & Zo Gang e di Angelo, la musica di Nana Amakie Dede, che viene dal Ghana e ha un gruppo di 12 musicisti fra cui un violinista bianco, è un gustoso e raffinato cocktail di Africa e Caraibi, fra tradizione e modernità. E al gala di presentazione ha trionfato la mitica Nina Simone, che è americana, vive da anni in Francia («Non ho nessuna ragione al mondo per tornare negli Usa», spiega) e fa parte con musicisti come Manu Dibango, Hugh Masakela e Miriam Makeba del comitato d’onore del festival.
«Quante musiche al mondo possono vantarsi di aver ispirato Bach e Ray Charles, i Beatles e Elvis Presley, Bob Marley e Michael Jackson, Aretha Franklin e Tito Puente, Paul Simon e Eric Clapton? Una sola, la nostra, che si è evoluta esportando uomini e musiche», sostengono gli organizzatori, che costruiranno un apposito villaggio per accogliere i visitatori, sono alla ricerca di sponsor per sostenere le spese e hanno avuto lunghi incontri con una delegazione americana che collaborerà economicamente al progetto, come per pagare una vecchia e dovuta multa. C’è persino un obiettivo benefico: raccogliere fondi per combattere l’ulcera di Buruli, malattia che colpisce molti africani e per la quale Nina Simone ha già assicurato al presidente Bédié un contributo personale di 25 mila dollari.
Il Festival Mondial des Afromusiques ha un suo sito non del tutto aggiornato ma pieno di immagini, notizie, chiarimenti e descrizioni, in gran parte in francese. Per andare a curiosare o per inviare una mail basta cliccare sul suo indirizzo: http://www.afromusiques.ci
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