Jack Folla è nel braccio della morte di un carcere di massima sicurezza, e in attesa dell'esecuzione fissata per giugno si collega ogni giorno in diretta con Radiodue per dire la sua su tutto, pensando e parlando, visto che non ha più nulla da perdere, come penserebbe e parlerebbe chiunque di voi e di noi se fosse veramente libero. Il suo programma è diventato un caso, e un mare di spettatori crede addirittura che Jack esista realmente: è un situazione simile a quella che si creò all'epoca del clamoroso scherzo radiofonico ideato dal grande Orson Welles.
Qui sopra il logo di Alcatraz. Nella foto sotto al titolo: l'autore Diego Cugia, matricola 2453
Alcatraz, la grande evasione
dai difetti di questo mondo
di FABRIZIO ZAMPA
Se già conoscete Alcatraz, il programma che va in onda su Radiodue da settembre e che in pochi giorni è diventato un vero e proprio cult, sapete perfettamente di che cosa stiamo parlando. Nel caso contrario è però d’obbligo presentarvi Jack Folla. Sui quarant’anni, italo americano, voce disincantata, calda, incazzata e suadente, carattere morbido, rabbioso, teso e indignato, Jack aspetta l’esecuzione in una cella 2x3 del braccio della morte di un carcere di massima sicurezza, e ogni giorno alle 14.10, dal lunedì al venerdì, si collega in diretta con Radiodue per proporre la musica che ama (e che tra l'altro è davvero ottima) e soprattutto per parlare.
Non avendo più nulla da perdere Jack può permettersi di dire tutto ciò che vuole. E lo fa, con un linguaggio crudo e senza lesinare le parolacce: parla di vita e di morte, di politica e di amore, di musica e di pubblicità, del denaro, del consumismo e della televisione che ci hanno reso schiavi, e attacca tutti con rabbia, dolcezza, odio, nostalgia, cinismo. Ma a sentirlo parlare sembra uno di noi e dice quello che moltissimi di noi vorrebbero dire: potrebbe essere un padre, un fratello maggiore, un amico: un esempio da seguire o da rifiutare.
«Benvenuto ad Alcatraz, fratello. Sono Jack Folla, matricola 3957, e oggi mancano 8 mesi, 7 giorni, 22 ore, 38 minuti e 46 secondi al momento della verità... La felicità è adesso, è la radio della nostra vita. Ecco un vecchio proverbio indiano: è inutile svegliarsi all’alba, il tuo destino si sveglia sempre mezz’ora prima di te...». Così viaggia Jack, che oltre a cantare la sigla del programma, Teste da tagliare, e a inventare rap in trasmissione, da consumato Dj recupera tanta musica doc da proporre tra le sue scomode chiacchierate.
Inutile dirvi che Alcatraz, che sta coinvolgendo l’Italia in maniera incredibile, è solo fiction, un grande gioco virtuale. L’autore è Diego Cugia, che ha alle spalle libri e programmi radiotelevisivi, e Jack è un attore (niente nomi ma una traccia: è colui che doppia Christophe Lambert in Nirvana e Bruce Willis in Trappola mortale) che non improvvisa, come sembra, ma ogni giorno viene rifornito di pagine e pagine di testi. Insomma è un programma fatto come tutti gli altri, anche se completamente diverso dagli altri e assai più vivo e coinvolgente degli altri, eppure gran parte del pubblico crede che Jack sia un personaggio realmente esistente.
«Alcatraz ha una risposta enorme - dice Cugia. - Arrivano migliaia di lettere, telefonate, e-mail, e il 70 per cento è convinto che sia tutto vero, cosa che non succedeva dai tempi del famoso scherzo di Orson Welles sull'invasione degli extraterrestri. E’ incredibile, però qualcuno progetta addirittura manifestazioni come per Silvia Baraldini. E molti, anche se capiscono che è un gioco, ci entrano lo stesso: mio cugino sa tutto perfettamente, eppure ogni giorno continua a chiedermi di parlare personalmente con Jack».
Com’è nata l’idea del programma? «Probabilmente dall’angoscia, da una crisi generazionale. Ho 45 anni e avevo voglia di parlare con quelli della mia generazione, e soprattutto con quelli delle generazioni successive. Forse perché sono padre da poco, forse perché ascolto spesso le radio libere e sento il vuoto, un giorno mi sono detto: è possibile che la Rai debba imitare le radio libere e non possa volare alto?» Ha avuto problemi, Cugia, quando si è accorto che molti ascoltatori pensano che Jack esista realmente? «Beh, io vado in analisi da uno junghiano, e gliene ho parlato a lungo. Ma lui mi ha spiegato che con Alcatraz si è scatenata una situazione piuttosto grossa, della serie "un uomo muore e le parole che dice diventano verbo". Però mi ha anche spiegato che non è mio dovere dirlo, perché io sto solo facendo un grande gioco virtuale: è dovere del pubblico capirlo».
«Stiamo meditando - spiega Giancarlo Santalmassi, direttore di Radiorai - di replicarlo la notte, perché molti alle 14 non riescono a ascoltarlo. Alcatraz funziona perché Jack dice quello che pensiamo in tanti, compresi i nostri figli di vent’anni. Il suo segreto? Non tenersi dentro niente, neanche le cazzate. Come tutte le cose forti spacca, c’è chi chi lo ama e chi lo odia, ma affascina i giovani perché punta su una questione di libertà personale, di vita o di morte. E l’ho voluto alle 14 nella speranza di far capire a tutti che il pomeriggio di Radiodue è cambiato radicalmente». Costa parecchio, per Santalmassi, fare la radio in questo modo? «No, anzi costa sicuramente meno che fare la vecchia radio. Le idee spesso non costano care, e se sono nuove pagano anche molto bene».
Tra un mese, intanto, uscirà l’album di Alcatraz, che offrirà una serie di canzoni (compresa l'attuale sigla) e di rap con testi di Cugia, musiche di Luciano Francisci e, ovviamente, la voce di Jack in persona. Aspettando che arrivi il cd meditate su alcuni dei mille e mille messaggi inviati al sito dell’autore (www.diegocugia.com) e se vi va dite anche la vostra. A tale scopo in fondo alla pagina troverete un link con la mail di Jack Folla e altri link per visitare il sito di Diego Cugia.
Hanno scritto a Jack, matricola 3957«Grazie di cuore per essere la coscienza, il grillo parlante di una generazione perduta».
«Jack è il più grosso figlio di puttana che abbia conosciuto. Preferisco odiarlo che amarlo, però ha maledettamente ragione: siamo dei pezzenti. E i morti che camminano siamo noi, non lui».
«Spero che non chiudano il microfono a Jack prima della fine».
«Ho 33 anni, sono armeno, nato in Siria, vissuto a Beirut, da 8 anni a Vicenza. Questo capolavoro è una bomba per la coscienza. Ascoltandolo sento un grido dentro di me, perché intorno vedo la realtà di quello che racconta Jack».
«Caro Jack, ti invio quanto ti devo: una maledizione lunga una vita, per tutte le cazzate che dici. Crepa, bastardo».
«Era un pezzo che aspettavo qualcuno che alla radio parlasse la mia stessa lingua».
«A Jack da una farfalla a cui hanno imbrigliato le ali, all’unico uomo rimasto in questo mondo di eunuchi. Sei grande, sei uno spiraglio di luce in quest’angolo buio, sei aria di libertà per chi come me vive nella prigione dell’anima».
«Jack, salvaci dall’ipocrisia quotidiana, da questa vita stretta fra cristalli trasparenti ma infrangibili, e impermeabili alla felicità».
«Jack nessuno può ucciderti!».
«Mi hai messo in moto lo stomaco e il cervello. Era ora che qualcuno parlasse chiaro».
«Ciao Jack, troppo facile parlare contro quando si è veramente liberi come te. Noi non abbiamo certezze e viviamo nel dubbio, tu invece hai una certezza: fra 8 mesi muori».
«Jack mi fai accartocciare lo stomaco, mi fai incazzare, mi fai venir voglia di spaccare il culo al mondo, di ribellarmi, di gridare. Sei un grande».
«Il pensiero ha le ali, nessuno può fermare il suo volo, scrisse un filosofo arabo mille anni fa. Vola per noi, albatros. Non possono ucciderti».
«E’ un orrore e un errore che uomini come te debbano perire sotto la mannaia del potere. Chiuso in quella gabbia di merda che è il mio ufficio, non vedo l’ora di poter volare con te».
«Ciao Jack, sono un evaso e data la situazione non riesco a sentirti sempre. Ma stasera a tavola ci sarà un posto in più».
«Non mollare, Jack, finché ci sei tu ci siamo anche noi».
«E’ bello sentirti dire le stesse cose che pensiamo da quando abbiamo deciso di lasciar perdere la ricerca del culo più vantaggioso da leccare».
«Ascoltarti è come averti sul mio corpo, solo così sento pompare ardentemente i nostri cuori».
«Jack, grida anche per me che non ho il coraggio, urla il mio inferno».
«Ciao fratello, sono il 32154, anch’io nel braccio. Sei diventato un mito qui in cortile. Sei forte fratello, continua a vomitare acido sopra tutti quelli che ti capitano a tiro. Let’s fly away from here».
«La voce del grande vecchio Tom Waits ti accompagnerà nel tuo viaggio. E noi resteremo orfani...».
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