Una scoperta della serie "le sorprese non finiscono mai": i Backstreet Boys, giovane band idolatrata dalle teenagers, non hanno nulla a che vedere con i Take That e gli altri gruppi carini e gradevoli nei dischi ma praticamente incapaci di suonare dal vivo. I cinque ragazzi americani sono davvero bravi e nei loro concerti fanno scintille, secondo la miglior tradizione della musica made in Usa. Per illuminare gli scettici vi ripropongo un pezzo che ho scritto un paio d'anni fa dopo aver sentito un loro concerto alla Wembley Arena di Londra
 
 
 
 
 Incredibile ma vero,
i Bsb sono bravissimi
 
 
di FABRIZIO ZAMPA

LONDRA - I Backstreet Boys, cult band di milioni di teenager di mezzo mondo, sabato notte hanno dato alla Wembley Arena di Londra uno dei primi concerti di un lungo tour europeo che è partito da Dublino e che toccherà Danimarca, Svezia, Norvegia, Germania, Francia, Spagna e Portogallo (rassegnatevi, niente Italia almeno fino a dopo l’estate), e per parlare di loro nel modo giusto l’unica soluzione è dividere il discorso in due parti separate ma complementari: la prima è riservata di diritto alle loro ammiratrici, la seconda agli altri.
   Cominciamo a dare il dovuto alle ragazzine di età media intorno ai 14 anni che a Wembley (e si suppone che sarà così anche da noi) rappresentavano il 95 per cento dei 12 mila spettatori che affollavano Wembley, lanciavano sul palco migliaia di pupazzetti di pelouche e per ore e ore non hanno mai smesso di urlare, cantare in coro, applaudire e piangere con un’energia e una costanza al cui confronto le minorenni che accoglievano i Beatles o i marines di Apocalypse Now erano semplici dilettanti. A loro diciamo subito che sì, è vero: i cinque Backstreet Boys (A.J. McLean, Howie Dorough, Nick Carter, Kevin Richardson e Brian Littrell, tutti americani della Florida, o meglio di Orlando, salvo Brian che viene dal Kentucky) sono davvero deliziosi, carini, garbati, disponibili, per nulla spocchiosi, e oltretutto decisamente bravi non solo nei dischi ma anche dal vivo.
   Sarà che sono nati e cresciuti negli Usa, che vengono da un paese dove la musica ha un altro sapore e chi la affronta un’altra preparazione, ma nell’inevitabile confronto che finisce per coinvolgere tutte le band molto giovani e amatissime dalle minorenni i Backstreet battono di parecchie distanze i loro predecessori, dagli inutili Take That (che erano mediocri musicisti) agli Oasis (bravissimi nei dischi ma ahimé tremendi dal vivo) fino a tutte le altre formazioni che si sono alternate in questi anni nelle preferenze delle teenager.
   Volete i dettagli, ragazze? I cinque Boys sanno stare in scena, si muovono benissimo ballando e piroettando senza sbagliare mai una nota e a turno si tolgono tutti le camicie di seta rimanendo a torso nudo, sudati, in un tripudio generale. Howie comincia il concerto coi capelli raccolti a coda di cavallo ma sta molto meglio quando se li scioglie scatenando assordanti ovazioni, A.J. gioca a fare il duro con un paio di occhialoni tipo maschera subacquea ma si capisce che non è un duro, Kevin sorride sfoderando il suo fascino di stampo latino, Nick lancia baci e strizza l’occhio, Brian, che ha un soffio al cuore e dopo il tour dovrà subire un piccolo intervento (ma niente paura, non è una cosa grave) è ammiccante e convincente. Insomma, se avete 15 anni è giusto che andiate in sollucchero e magari anche in delirio.
   Passiamo ora alle persone normali, cioè al pubblico dei ventenni, venticinquenni, trentenni e così via, tutta gente che almeno in teoria è vaccinata contro il fascino delle formazioni che vanno di moda solo perché sono carine e ammirate. A loro va chiarito che, sorpresa, la band non è frutto di astute alchimie dell’industria discografica ma ci sa fare sul serio: costruisce impasti vocali sorprendentemente raffinati e godibili e propone una scaletta intelligente che alterna in crescendo i loro hit e che dopo i primi brani (That’s The Way I Like It, I Want To Be With You, Hey Mr. DJ) dà a ciascuno dei cinque il suo spazio personale con un brano d’atmosfera, su un tempo medio-lento, nel quale sfoggiare le proprie doti vocali. E per un’ora e mezza la band pensa solo a cantare, sostenuta da sei musicisti sciolti e professionali: Robert William Chapin alle chitarre, Dennis Gallo e Tom Smith alle tastiere, Wilfredo Mollings al basso, Tim Berkesile alla batteria e Obie Morat al sax e alle percussioni.
   Certo i brani dei Backstreet non sono la Nona di Beethoven né Imagine di Lennon, però funzionano e tirano, e soprattutto (che gran paese, in questo senso, gli Stati Uniti) hanno la giusta dose di un sottovalutato ma insostituibile ingrediente: il buon vecchio swing, qui tradotto in un sapiente e moderno modo di adattare la vocalità all’energia ritmica dei pezzi. Conclusione? Incredibile ma vero hanno tutte le carte in regola sia nei dischi sia dal vivo, e visto che i Boys sono bravi ci sarebbe piaciuto sentirli davvero bene, senza il perenne e assordante contorno di grida del pubblico. Ma non si può avere tutto dalla vita.
 
 
Per chiudere questa pagina, un regalo per le giovani ammiratrici della band. Sono tutti vostri.
   
 

   
 
 
 
   
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