Ricordate Wild World, Morning Has Broken, Moon Shadow
e altre splendide canzoni che fino a venti anni fa hanno accompagnato la
vita di molti di noi e che sono ancora punti fermi della pop story? Il loro
mitico autore e interprete, Cat Stevens, è scomparso dal lontano 1977
gettando nello sconforto milioni di fan: prima andò in Brasile per
sfuggire alle tasse, poi scoprì Allah, si convertì alla religione
musulmana, cambiò il suo nome in Yusuf Islam, spiegò che «restare
nel music-business non è compatibile con la mia fede», mollò
tutto, smise di cantare e dopo lunghe peregrinazioni alla fine tornò
a Londra e cominciò a insegnare in una scuola londinese per
islamici messa su con i contributi di quello stesso governo che una volta
dava la caccia a Stevens per le sue evasioni fiscali.
Beh, il vecchio Cat adesso è tornato e ha appena realizzato
un nuovo album che è il suo primo approccio all’industria discografica
da ventun anni in qua. Intitolato I Have No Cannons That Roar (Non
ho cannoni che ruggiscono), interpretato da lui e da altri artisti musulmani,
è un disco benefico (gli incassi finanzieranno le organizzazioni
che aiutano le vittime della guerra in Bosnia, alle quali Yusuf ha già
dedicato un breve concerto l’estate scorsa) e contiene dodici canzoni delle
quali due, Mother, Father, Sister, Brother e The Little Ones,
portano la sua firma.
La prima, toccante storia di un bambino che ha perduto la
famiglia in guerra, ha tutto il sapore dei suoi storici hit ed è
interpretata da un altro islamico convertito, Adb Al-Lateef Whiteman. Nella
seconda finalmente è proprio lui a cantare: senza strumenti salvo
il ritmo di una batteria, Stevens la interpreta ”acapella”, sovrapponendo
più volte la sua voce fino a farla diventare un suggestivo
coro.
Dedicato a Irfan Ljubijankic, il ministro degli esteri bosniaco
che nel 1995 morì su un elicottero abbattuto dai serbi,
e che pochi mesi prima, durante una visita a Londra, aveva consegnato a
Stevens il nastro di una canzone scritta e incisa da lui, appunto I Have
No Cannons That Roar, chiedendogli di usarla «per aiutare il mio
paese a sopravvivere», l’album contiene molte melodie della tradizione
popolare della Bosnia arrangiate con un curioso mix di suoni dell’Est e
dell’Ovest e con testi riscritti per fare il punto sui diversi aspetti della
tragedia che ha colpito il paese.
«Questo cd non mi riporterà davvero in quel mondo
delle superstar dal quale sono fuggito - dice Cat. - Però va ascoltato
perché dentro ci sono messaggi molto importanti: a parte l’orrore
per la guerra, si può fare conoscenza col modo dei miei correligionari
di accostarsi alla musica».
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