Compay
Segundo in concerto, con il panama e un inappuntabile completo di lino
bianco: un'immagine che è storia.
Nella
prima foto in basso, il musicista in palcoscenico. Nella seconda foto
Compay
e Lou Bega in sala d'incisione
Erano
quasi ottant’anni che Compay Segundo (vero nome Francisco Repilado,
nato
nel 1907 a Siboney, Cuba: uno quei rari paesi dove il tempo sembra non
pesare su nessuno) frequentava la musica: ha cantato e suonato con
tante
diverse formazioni, ha persino inventato un suo speciale strumento,
l’harmonico,
una chitarra a sette corde che si porta sempre dietro e che gli serve
per
scivolar meglio fra le pieghe dei son e dei bolero, ed è
diventato
un personaggio storico della musica cubana, una vera e propria star che
per diversi anni ha registrato il tutto esaurito dovunque.
«La differenza fra la
nostra musica
e la maggior parte di quella che si fa oggi - diceva tre anni fa, ai
tempi
della sua ultima apparizione romana, a Fiesta - non è nella
melodia
ma nell’armonia: l’armonia tradizionale è più complessa,
più difficile, più raffinata, mentre le armonie di adesso
sono più elementari. E poi i testi: quelli di una volta
toccavano
il cuore perché erano poetici e profondi. ”Se un giorno un
cattivo
dio ti farà impallidire e le tue labbra perderanno il rosso, ti
darò tutto il mio sangue per restituirti la vita”, scriveva Pepe
Vandera... Ma oggi queste cose non le scrive più nessuno».
Che effetto fa passare
qualche giorno con
Compay? Ci capitò nel 2000, l’ultima volta che venne a Roma,
prima
per Fiesta e poi per un altro impegno, e il 16 agosto finimmo insieme
in
una sala d’incisione dove lui avrebbe registrato una canzone insieme a
Lou Bega per "Ladies and Gentlemen", l’album del vocalist e
musicista
italo-ugandese (la madre è di Trapani, il padre è
dell’Uganda,
lui è nato in Germania, ha la pelle nera e un’animo del sud
ereditato
dai genitori) uscito nel gennaio 2001. Il brano s’intitolava
"Baby
Keep Smiling" e fu inciso a due voci con Compay in un mix di inglese e
spagnolo.
Beh,
tutto fu subito chiarissimo: avevamo incontrato un gran vecchio, un
uomo
che al di là delle qualità musicali aveva un grande
spirito,
tanta eleganza, un profondo rispetto per la musica e per il pubblico,
nonché
un feeling davvero molto speciale: ascoltava col cuore, e non con le
orecchie.
«Gli artisti giovani mi piacciono - spiegava sorridendo - ma il
loro
dovere sarebbe conservare e mantenere le tradizioni del loro paese, e
purtroppo
non succede più. Oggi chi suona lo fa soprattutto per denaro, e
così viene fuori musica semplice e brutta, non una forma d’arte
come una volta...»
L’ultima sera, finito
l’impegno in studio,
si andò a cena insieme a mezzanotte e lui bevve birra,
mangiò
pasta e fagioli e un gelato alla vaniglia, accese felice un enorme e
profumato
sigaro e si mise a sbirciare con attenzione le ragazze che
passeggiavano
davanti al ristorante.
Poi mi raccontò di "Flowers of Life"
, cioè "I fiori della vita", la canzone che avrebbe aperto il
suo
nuovo disco (sarebbe uscito di lì a un paio di mesi) e che lui
aveva
scritto al volo in una città tedesca: «Nel giardino
dell’albergo
c’erano dei bellissimi fiori e io ho pensato ai fiori come tante
opportunità
che la vita ci offre: un bell’amore, un buon lavoro, una giornata
felice.
Sono opportunita che arriveranno e che non dobbiamo disprezzare. Basta
saper capire quando sono quelle giuste e tenerle vive con il nostro
calore».
Aveva perfettamente ragione, perché è proprio è
così
che funziona la vita.
Forse Compay Segundo,
portato via da
un’insufficienza
renale che da un paio d’anni gli impediva di lasciare Cuba per andare a
cantare in giro per il mondo (e lui ci soffriva, non tanto per la
malattia
quanto perché sapeva di deludere il pubblico, un pubblico che
rispettava
profondamente) sarebbe solo rimasto un simpatico pensionato sempre
pronto
a sbirciare le belle cubane che passeggiavano davanti al patio della
sua
casa se non fosse stato riscoperto dal chitarrista Ry Cooder, se
Wenders
non avesse mai girato "Buena Vista Social Club" e se parecchi anni fa
non
fosse uscito un album tratto dal film (è disponibile anche in
Dvd:
non ve lo perdete) che è andato a ruba in mezzo mondo.
La lezione del musicista cubano? Mai buttar via le proprie radici: quelle del son e della grande tradizione popolare cubana sono il vero tesoro della sua musica, e il buon vecchio e straordinario Compay, appena scomparso all’età di 96 anni, l'ha dimostrato per l’ennesima volta cantando, suonando e proponendo a tutto il mondo un repertorio che pur essendo vecchio quasi come lui non ha mai avuto un’ombra di sapore antico ed è ancora oggi pieno di vita e attualissimo.
Compay
Segundo durante il suo concerto del luglio 2000 a Fiesta. E qui
sotto
un bellissimo ricordo di quella serata:
il
grande vecchio mi stringe la mano con un sorriso. Perdonate la mia
vanità,
ma fu un concerto indimenticabile.
E,
se ci fate caso. ho una maglietta che sembra perfetta per l'occasione:
c'è una fotografia di Miles Davis che fa
segno
di restare in silenzio. Ovvero: se non avete qualcosa di importante da
dire state zitti. Potrebbe essere
tranquillamente
il messaggio della musica di Compay: se non avete nel cuore qualcosa di
vero, evitate di suonare