Avete mai visto in televisione
quei coraggiosi che si buttano da un ponte alto duecento metri con un paio
di grossi cavi elastici legati alle caviglie? Precipitano in caduta libera
finché gli elastici arrivano al massimo della loro estensibilità,
poi il volo si ferma e loro fanno su e giù nel baratro aspettando
soddisfatti e fibrillanti di essere recuperati. Un’avventura da brivido,
pensano molti assistendo ai loro spericolati tuffi nel vuoto. Ma in
confronto agli ultimi sport alternativi che stanno prendendo piede e che
gli americani chiamano “estremi”, è quasi roba da ridere.
Buttarsi per le rapide in una zattera di gomma, scendere
in verticale con gli sci dalla cima rocciosa di un picco, cavalcare col
surf onde alte sei metri o gettarsi in gruppo col paracadute sono ormai
avventure superate. Oggi dalla scoscesa cima di una montagna si scende
con una mountain bike, e per divertirsi davvero con il surf bisogna lasciar
perdere il mare della California e affrontare come minimo i tornado tropicali.
Ma siamo ancora agli inizi, perchè i nuovi veri sport estremi sono
difficili anche da immaginare.
C’è gente specializzata nel Waterfall Ice Climbing
(cioè nello scalare enormi cascate gelate, dove un colpo di piccozza
sbagliato o la minima variazione di temperatura possono far incrinare e
precipitare colonne di ghiaccio alte anche 200 metri, ovviamente con tutto
lo scalatore), gente che fa lo Sky Surf (ovvero si butta dall’aereo con
una tavola da surf e spesso, dopo aver cavalcato l’aria e le nuvole a 100
chilometri all’ora, ha per traguardo un bersaglio, magari piazzato esattamente
al Polo Nord, da centrare con la maggior precisione possibile), gente che
adora le corse dei Monster Truck (una sorta di enormi gipponi con motori
da 1.400 cavalli che bruciano metanolo, hanno gomme di due metri di diametro
e scattano da zero a 100 chilometri all’ora in tre secondi), o gente che,
più semplicemente, si dedica alle ultramaratone correndo per 200
e più chilometri nella torrida Valle della Morte.
Ma lo sport sport estremo più carico di adrenalina
è il jumping, in italiano saltare. Sembra un nome innocuo, e invece
no: il salto col paracadute non si fa da un banale aereo bensì dalla
cima di un grattacielo o di una di quelle torri alte tre o quattrocento
metri e irte di antenne radiotelevisive, volando a picco per secondi che
sembrano intere giornate per poi aprire il paracadute solo all’ultimo momento
(il margine di errore per non sfracellarsi è di appena due o tre
secondi) a pochi metri dal marciapiede, dalle auto, dagli alberi, dai negozi
e dai passanti.
L’obiettivo di Marta e di tutti gli altri
jumpers è buttarsi dai luoghi che occupano i posti migliori o più
interessanti nella hit parade dell’altezza, da classici come l’Empire State
Building o le torri gemelle del World Trade Center all’antenna alta 420
metri di Daytona Beach, in Florida, dalla Tour Eiffel ai malfermi ponti sospesi
nelle gole delle Ande, fino ai due edifici che detengono il record mondiale,
cioè la Sears Tower di Chicago, 436 metri e mezzo, e soprattutto
la Petronas Tower di Kuala Lumpur in Malesia, 445 metri, due posti dai
quali nessuno è ancora riuscito a tuffarsi. "Ma io faccio jumping
per divertirmi - spiega Marta - e la Petronas Tower sarebbe troppo pericolosa.
Rischierei l’arresto, finirei in carcere in Malesia e verrei trattata come
un terrorista. No, questo proprio non mi piace".
Già, perché in questa storia c’è un
problema: il jumping è proibito dalle leggi sia americane che internazionali,
e quindi va fatto di nascosto e servendosi di particolari accorgimenti per
evitare di finire in galera. Chi lo pratica deve entrare nei grattacieli
con aria disinvolta o arrampicarsi sulla cima delle torri nei momenti giusti,
in genere di notte per poi spiccare il volo all’alba, e sono d’obbligo astuti
trucchi per non farsi notare.
C’è chi prende allegramente l’ascensore per l’ottantesimo
piano, ben vestito come se andasse a una festa di compleanno e carico
di pacchi colorati e infiocchettati che sembrano regali e invece contengono
il paracadute (una ditta della quale fa parte Marta, la Vertigo, fabbrica
quelli ad apertura più rapida che sono i preferiti dai membri del
Base), la tuta, il casco e le eventuali corde per la scalata. Ma a volte
neanche le precauzioni servono, e la stessa Marta in dieci anni è
stata arrestata e giudicata tre volte: quando si lanciò in un burrone
dello Zion National Park, per esempio, riuscì ad evitare la prigione
ma venne condannata a pagare una multa di mille dollari.
Eppure non è con la nascita del jumping che la gente
ha cominciato a volare dai posti più alti e pericolosi. A parte le
traversate delle cascate del Niagara o del centro di Manhattan su una fune
sospesa, qualcuno si è gettato col paracadute dalla Statua della
Libertà già negli anni Venti, mentre i primi tuffi dalle due
torri del World Trace Center sono avvenuti nell’ormai lontano 1975. Del
più recente è stato protagonista nel 1991 John Vincent, 29
anni, di New Orleans, già compagno di Marta in decine di avventure,
il quale qualche mese più tardi ha scalato con un paio di ventose
di gomma l’arco di St. Louis, 190 metri, e si è poi lanciato in un
breve ma entusiasmante volo. In quell’occasione Vincent fu ripreso dal vivo
dalla tv e ebbe un successone, però si fece anche tre mesi di reclusione
in un carcere federale.
Un curioso record, infine, è tuttora detenuto dal
californiano Mark Hewitt: è l’unico essere umano ad aver fatto tutti
e quattro i lanci previsti dalle regole del Base (grattacielo, antenna,
ponte e voragine) completamente nudo. Tranne, naturalmente, il paracadute.