Roba vecchia / Ha avuto grande successo a Venezia Radiofreccia, il film che ha segnato il debutto alla regia del rocker e cantautore di Correggio. Ambientato nel 1975, in un'epoca piena di sogni e di fermenti ma anche di grandi drammi e di contraddizioni, è la storia di un gruppo di ragazzi della provincia emiliana che danno voce ai loro pensieri fondando una delle prime radio libere italiane, e in una sola stagione passano quella linea immaginaria al di là della quale si diventa adulti. Nel suo film Luciano non recita né canta. Fra gli attori c'è anche Francesco Guccini nei panni di un barista
di FABRIZIO ZAMPA
Niente musica, né album né concerti per un anno: è il prezzo che Luciano Ligabue ha dovuto pagare per il suo debutto come filmaker. «Ma lo faccio molto volentieri - ha detto mentre girava il film - perché sono appassionato di cinema da sempre e questo è un viaggio in un mondo che mi ha sempre affascinato». Lunedì 4 maggio 1998 il rocker emiliano (i suoi album più recenti nel 1998, Buon compleanno Elvis e il live Su e giù da un palco, hanno venduto il primo un milione e il secondo 800 mila copie) ha cominciato le riprese di Radiofreccia, film del quale è autore, sceneggiatore e regista ma nel quale, essendosi limitato a scrivere per la colonna sonora alcuni brani d’atmosfera solo strumentali, non fa né l’attore né il cantante, poi le ha finite, ha pensato al montaggio e alle altre fasi della postproduzione e ha proposto il suo lavoro con grande successo al festival di Venezia.
Tratto da due episodi del suo libro Fuori e dentro il borgo, una raccolta di 43 racconti pubblicata l’anno scorso, Radiofreccia è ambientato nel 1975, cioè all’esatta metà di quegli anni Settanta pieni di sogni e di speranze, ma anche di problemi, di piombo e di droga, durante i quali nascevano in Italia le prime radio libere. E’ la storia di cinque ragazzi di un piccolo centro della provincia emiliana (Correggio, dove Ligabue è nato e cresciuto) che passano le giornate fra la sede della radio che hanno appena fondato, le discoteche, i portici dove si passeggia e ci s’incontra e il bar dove si scambiano chiacchiere, impressioni e confidenze.
«L’idea era di fotografare il momento in cui da ragazzi ci si trasforma in adulti e raccontare l’enorme fatica del diventare adulti. Insomma, è Un mercoledì da leoni ma senza l’oceano - spiega Ligabue, i cui registi preferiti sono Martin Scorsese, Stanley Kubrick e Federico Fellini. - Ho deciso di affrontarlo come regista perché avevo una sceneggiatura scritta da me e tratta da un libro scritto da me, e una storia che si svolge in luoghi nei quali ho sempre vissuto e che conosco alla perfezione. E’ un impegno ambizioso, lo so, ma ho studiato mesi e mesi per raccontare tutto con precisione e nel modo migliore».
Il cast? Tutti attori credibili nei panni dei ventenni e che avessero un accento non lontano da quello emiliano: Stefano Accorsi è Freccia, Enrico Salimbeni è Tito, Luciano Federico è Bruno, Roberto Zibetti è Boris e Alessio Modica è Jena. E per il ruolo del barman, che rappresenta un po’ il ”coro” del film, c’è Francesco Guccini. Pensato con due colori dominanti (l’azzurro per la parte onirica e il giallo per il resto), Radiofreccia è pieno di musica e di brani originali degli anni Settanta, come Jessica degli Allman Brothers, Sweet Home Alabama dei Lynard Skynard o Black Mark dei Weather Report.
«In quell’epoca piena di assurde contraddizioni, una delle quali era il voler considerare l’eroina una cosa alla quale ti potevi avvicinare ma dalla quale ti potevi staccare quando volevi – spiega Ligabue - passare in radio un certo tipo di musica significava dichiarare uno stile. La radio era un mezzo straordinario, ti faceva sognare e lavorare di fantasia: ascoltando parole e musica ti potevi immaginare una faccia e un mondo e farti una tua personale idea della realtà, mentre oggi con la televisione è diventata un’impresa impossibile. La televisione te la fa vedere, la realtà, anche se è molto meno reale di quanto sembri».
La linea di Ligabue nei suoi nuovi panni di regista? «In questo film non ho avuto nessuna voglia di dire guarda che tempi erano, ma ho solo voluto raccontare come stavano le cose, e come avrebbero potuto essere, con una storia dai risvolti tragicomici tutt’altro che consolatoria, che anzi lascia un bel po’ di amarezza e che non offre certo un happy end: finisce col protagonista che muore di overdose e la radio che chiude definitivamente i battenti. Perché? Semplicemente perché è arrivato il momento di chiuderla».
Cosa si aspetta Luciano da questo lavoro? «Come musicista credo che le mie canzoni possano interessare o non interessare, però parlano in modo molto chiaro. Ecco, vorrei solo che Radiofreccia fosse altrettanto chiaro. C’è dentro il desiderio di arrivare a credere in qualche cosa, e anche di non pensare che ciò in cui credi possa essere solo un partito o una fede religiosa, ma qualcosa più a portata di mano e più concreta». Bravo Libague. Se il film gli verrà come la musica, dicevamo all'inizio delle riprese, beh, sarà un grande film. E dopo la presentazione a Venezia lo potremo verificare presto, perché l'uscita è imminente. Ancora pochi giorni di pazienza...